L’obesità aumenta, soprattutto tra i bambini, a causa di stili di vita sbagliati. Ma Big Food non ci aiuta: continua a promettere di cambiare ricette che, nei fatti, restano sempre dolci. La “sugar tax” potrebbe essere la soluzione

Nel nostro paese un bambino su tre sotto gli 8 anni è obeso. È la fotografia di un’emergenza sanitaria, visto che l’obesità costituisce un fattore di rischio per molte altre malattie e che l’aumento della sua prevalenza, soprattutto nella fase giovanile, è particolarmente preoccupante. Il ruolo e la consapevolezza dei genitori risultano particolarmente importanti per contrastare il fenomeno, perché sono determinanti nell’incoraggiare stili di vita sani. Insieme a questo, da anni, i governi europei si interrogano sulla necessità di adottare una “tassa sullo zucchero” con l’obiettivo di convincere le aziende che producono bevande zuccherate a diminuirne la quantità. Il dibattito ovviamente, non ha risparmiato il nostro paese. Con la differenza che, mentre in molti stati europei, la “sugar tax” è stata annunciata e applicata, in Italia siamo rimasti fermi alle dichiarazioni pubbliche. O meglio, prevista dalla Manovra 2020, la tassa si applicherà alle bevande il cui contenuto complessivo di edulcoranti è superiore a 25 grammi per litro, per i prodotti finiti e a 125 grammi per chilogrammo per i prodotti predisposti ad essere utilizzati previa diluizione. Nel primo caso la “sugar tax” sarà di 10 centesimi al litro, mentre nel secondo sarà di 25 centesimi al chilo. Nonostante l’Oms non perda occasione per esaltare i benefici della tassazione, il nostro paese ha rimandato già per due volte l’entrata in vigore del provvedimento: il nuovo appuntamento è per il 1° gennaio 2023. Inutile dire che sono molti i nemici della “sugar tax”: alcuni sostengono che si tratta di una misura inefficace all’obiettivo che si propone, altri sostengono che a farne le spese (nel vero senso della parola) siano i consumatori e non l’industria. Una affermazione smentita dalla Oms nel suo ultimo rapporto sullo stato d’applicazione della tassazione. Oltre a ribadire quanto sia poco diffusa – solo 10 dei 53 paesi della regione europea hanno implementato una tassa di questo tipo a livello nazionale – l’Organizzazione precisa che in tutti i casi, seppur diversi da loro ma ugualmente validi, il tributo ha sempre pesato sulle aziende e mai sui clienti finali. Infine l’Oms mette in conto che la “sugar tax” può non piacere (a Big Food, aggiungiamo noi) e per questo suggerisce ai governi di creare “una rete pubblica di supporto alla tassazione” oltre a prevedere una “collaborazione costruttiva” tra i responsabili delle politiche finanziarie e sanitarie finalizzata allo sviluppo della tassazione. Insomma, qualsiasi cosa per vincere sulla lobby dello zucchero.

Come funziona dove c’è già

In Francia la “soda tax” è stata introdotta nel 2012 da Sarkozy, nella prima versione era di 7 centesimi al litro. È stata modificata a luglio 2018 in misura proporzionale alio zucchero utilizzato. Oggi sotto i 10 grammi è di 3 centesimi ai litro, che diventano 3,5 centesimi sotto i 20 grammi di zucchero, fino ad arrivare a 23 centesimi per 150 grammi. Grazie alla tassa, le lattine francesi di Fanta e Schweppes hanno metà cucchiaini di zucchero rispetto a quelle italiane. A Londra, invece, Cameron ha introdotto la “soft drinks industry levy” nel 2018. Prevede due aliquote: 20 centesimi al litro tra i 50 e gli 80 grammi di zucchero e 27 centesimi al litro oltre gli 80 grammi. Una tassa ben riuscita, visto che la Fanta e la Schweppes inglesi hanno trovato più conveniente scendere sotto i 50 grammi al litro.

Tratto da ilSalvagente maggio 2022

Written by Franco Rigosi