La COP16 si è conclusa rimandando a prossimi appuntamenti i risultati concreti che si dovevano portare a casa nei dieci giorni di consesso, in primis con un niente di fatto sulla questione dei finanziamenti a favore della biodiversità. Che si finisse con l’essere rimandati lo faceva presagire il tremendo ritardo dei singoli Stati nel fare i propri compiti a casa: su 196 Paesi solo 44 hanno redatto i piani nazionali per la biodiversità (National biodiversity pledges) che dovevano essere uno dei principali oggetti di discussione. I piani servono per definire le strategie nazionali per la biodiversità e le metodologie di valutazione dell’efficacia, nel quadro della strategia globale definita dal Global Biodiversity Framework, approvato dopo due anni di trattative nella scorsa COP15.La COP16 di Cali è stata coloratissima e molto partecipata sia dalle ONG che dalle imprese, con una Green Zone ricca di appuntamenti che ha accolto più di 900.000 visitatori, il che indica che c’è finalmente interesse crescente sulla biodiversità Come è già successo nelle COP del clima, non si è trovato un accordo su come vanno costituiti i fondi e i meccanismi di utilizzo, con un sostanziale disaccordo tra i Paesi ricchi e quelli poveri. L’obiettivo ambizioso del Global Biodiversity Framework è infatti quello di investire per la biodiversità complessivamente almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, per arrivare, entro il 2050, a 700 miliardi annui Ma mentre si potenziano gli incentivi per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità, è necessario eliminare le sovvenzioni a tutto ciò che continua a distruggerla: l’obiettivo sancito nel target 18 è di ridurle di almeno 500 miliardi di dollari all’anno entro il 2030.   Si tratta per la maggior parte di spese per i carburanti fossili, trasporti, costruzione e agricoltura.

Altro punto critico del Global Biodiversity Framework è la mobilitazione dei fondi dei Paesi ad alto reddito a favore di quelli a basso reddito, cominciando per il 2025 con almeno 20 miliardi l’anno complessivi, che dovrebbero diventare 30 nel 2030. A oggi però tra fondi già versati e fondi promessi siamo a solo il 2% della cifra prefissata per il 2025.

Intanto negli ultimi 50 anni la dimensione media delle popolazioni di vertebrati si è ridotta del 73%, con un decremento più marcato nelle acque dolci (- 85%) e nei mari (-56%). Il calo più marcato delle popolazioni animali è in america latina e nei Caraibi (-95%) rispetto al -76% dell’Africa. La IUCN ha pubblicato un report che indica che un terzo delle specie di alberi del pianeta rischia l’estinzione nell’immediato futuro, come pure il 46% degli anfibi,il 26% dei mammiferi,il 37 % degli squali ,ecc . Qualunque sia l’indice che si guarda, la realtà è sotto gli occhi di tutti: stiamo erodendo la diversità della vita, la ricchezza di specie che assicura il funzionamento del mondo come lo conosciamo. Siamo al limite della catastrofe per il pianeta ma anche per gli umani

Da Scienze in rete L. Scillitani

Written by Franco Rigosi