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Le specie aliene invasive sono tra le più gravi minacce globali alla natura, alla sicurezza alimentare, alla salute umana. Hanno un ruolo chiave nell’estinzione di piante e animali e costano ogni anno oltre 420 miliardi di dollari.
Il granchio blu, un crostaceo proveniente dalle coste dell’oceano Atlantico occidentale, ha iniziato a diffondersi nei mari italiani (in particolare lungo le coste del Veneto e dell’Emilia-Romagna) già agli inizi degli anni Duemila: ha trovato un habitat favorevole, anche grazie all’aumento delle temperature delle acque causato dai cambiamenti climatici, e ha iniziato a riprodursi e prosperare. Al punto da diventare una presenza fissa -e sgradita- che sta causando gravi danni sia agli ecosistemi marini sia all’economia locale, in particolare agli allevamenti di vongole e cozze che vengono sistematicamente “saccheggiati” da questo vorace predatore. Si tratta probabilmente della specie aliena invasiva più nota in questo momento nel nostro Paese -anche per il grande spazio che ha trovato sui media nel corso dell’estate- ma non è certamente l’unica. A livello globale, infatti, sono circa 3.500 quelle censite nel “Rapporto di valutazione sulle specie aliene invasive e il loro controllo” pubblicato a settembre 2023 dalla Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes) che lancia l’allarme sulla loro diffusione, definita uno dei più gravi pericoli per la biodiversità, gli ecosistemi oltre che per la sopravvivenza delle popolazioni e delle economie locali. Si tratta di un problema globale “sottovalutato, sottostimato e spesso misconosciuto Una delle prime cinque minacce alla biodiversità alla pari dei cambiamenti nell’uso del suolo e del mare, dello sfruttamento diretto delle specie, della crisi climatica e dell’inquinamento” La Piattaforma ha censito complessivamente oltre 37mila specie aliene: mammiferi, pesci, insetti, piante, alghe e funghi estranei all’ambiente in cui vengono a trovarsi in quanto introdotte direttamente o indirettamente dall’uomo. Non tutte però rappresentano un problema. Quelle classificate come invasive, in grado cioè di influire negativamente sugli ecosistemi e sulle popolazioni locali, sono infatti circa 3.500. La maggior parte delle segnalazioni si concentrano nelle Americhe (il 34% del totale), seguite da Europa e Asia centrale (31%), Asia Pacifico (25%) e Africa (7%). Tre quarti riguardano gli ecosistemi terrestri, principalmente boschi e foreste temperate e boreali. I ricercatori evidenziano inoltre come molti animali e molte piante “esotiche” siano stati introdotti intenzionalmente dall’uomo in habitat diversi da quelli originari “in silvicoltura, agricoltura, orticoltura, acquacoltura o come animali domestici, per i loro benefici apparenti, senza considerare o conoscere i loro impatti negativi”. Mentre altre sono state importate involontariamente, ad esempio come contaminanti di merci scambiate o clandestini nell’acqua di zavorra, come è successo in Italia proprio per il granchio blu oltre che per la zanzara tigre. A complicare il tutto si aggiungono anche gli effetti del cambiamento climatico. “Può influenzare la diffusione delle specie invasive attraverso lo spostamento del loro areale: il clima è un fattore importante che determina la loro presenza nel paesaggio È inoltre possibile introdurre una specie non dannosa e in grado di limitare la crescita di quelle pericolose, tramite il cosiddetto controllo biologico. Secondo i ricercatori questa pratica ha avuto successo nel 60% dei casi.Un fenomeno ancora sottovalutato dai governi di tutto il mondo: nonostante l’80% dei Paesi abbia un programma per il controllo delle invasioni biologiche, l’83% non ha una legislazione per combattere le specie invasive e appena il 55% investe nella loro gestione. Un problema che rientra tra i 23 target globali da raggiungere entro il 2030 stabiliti alla Cop15 sulla biodiversità del dicembre 2022 a Montreal.
Da Altreconomia 9-23