Le sanzioni imposte dall’Unione europea sull’importazione di petrolio dalla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022 non hanno portato a una riduzione della domanda. Piuttosto è stata “ridisegnata” la mappa dei principali Paesi fornitori, sostituendo il greggio proveniente da Mosca con quello estratto in altre parti del mondo, perdendo così un’opportunità storica per tagliare il consumo di petrolio e ridurre la dipendenza del continente.

Facciamo un passo indietro. Nel gennaio 2022 la Russia pesava per il 31% sulle importazioni europee di greggio. A marzo 2023, per effetto delle sanzioni imposte dalla Commissione Ue dopo l’invasione dell’Ucraina, la quota era scesa al 3%. Invece di cogliere questa occasione per decarbonizzare le proprie economie, i Paesi dell’Unione si sono rivolti ad altri fornitori e così, a fine 2022, gli Stati Uniti hanno preso il posto della Russia come primo fornitore dell’Europa (11% del totale), seguiti dalla Norvegia (il cui export su base mensile verso gli altri Paesi Ue è cresciuto del 18% tra il 2021 e il 2022) e dall’ Arabia Saudita (più 47%). La conseguenza di questa situazione è che la domanda di petrolio in Europa non solo è tornata ai livelli precedenti alla crisi pandemica ma dall’invasione dell’Ucraina è persino aumentata del 2%. Nello stesso periodo, invece, il consumo di gas fossile è calato del 15%. Una differenza legata al fatto che l’Ue non ha imposto obiettivi di riduzione dei consumi per il primo, mentre lo ha fatto per il secondo.

Ma c’è di più :è ancora consentito far arrivare in Europa prodotti derivati dal petrolio russo raffinati in un Paese terzo.  I cinque principali Paesi responsabili di aver “ripulito” quel petrolio: India, Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Singapore.

Per cui il petrolio russo, formalmente vietato in Europa, arriva nel continente dopo essere transitato da altri Paesi, soprattutto India e Cina. “Le importazioni da questi due Paesi sono cresciute rispettivamente del 70% e del 13% nell’ultimo anno La mancanza di volontà politica di ridurre il consumo di petrolio in Europa e nel mondo ha anche permesso alla Russia di dirottare la sua produzione verso altri mercati a un prezzo più basso”. In questo modo miliardi di euro hanno continuato a confluire nelle casse del governo di Vladimir Putin, finanziando anche il conflitto in Ucraina.

Oggi la domanda europea di greggio viene soddisfatta attraverso petrolio estratto da Stati Uniti, Norvegia, Libia, Kazakistan, Iraq, Regno Unito, Arabia Saudita, Nigeria e Azerbaigian. Mentre a registrare il maggior incremento è stato l’Angola, che tra il 2021 e il 2022 ha visto le proprie esportazioni crescere del 508% su base mensile. Nello stesso periodo di tempo l’export brasiliano è cresciuto del 59%, quello dall’Arabia Saudita del 47%, dalla Norvegia del 18% e dall’Iraq del 15%.

La costante domanda da parte dell’Europa ha portato a un aumento della produzione di petrolio a livello mondiale, un trend che dovrebbe proseguire anche nei prossimi anni fino a toccare, secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), un aumento del 5% nel 2028 rispetto al 2022. Una minaccia per il Pianeta dato che per raggiungere gli obiettivi degli Accordi di Parigi sul clima (ovvero il mantenimento dell’incremento della temperatura media entro 1,5°C a fine secolo) sarebbe necessario fermare immediatamente lo sviluppo di nuovi giacimenti fossili.

E’ necessario invertire la rotta e rafforzare le sanzioni contro la Russia includendovi anche i derivati del petrolio raffinati in Paesi terzi. L’Unione europea dovrebbe inoltre tagliare progressivamente il consumo di petrolio

da altreconomia 8-23

Written by Franco Rigosi