ritiro di vernici cancerogene
Dopo i due marchi famosi – Boero e San Marco – pescati sugli scaffali con un…
Vietare il glifosato “in parchi giardini, campi sportivi, aree di gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne, complessi scolastici e strutture sanitarie” è la foglia di fico dietro cui lenire la coscienza del legislatore di fronte all’enorme nuvola di erbicida che ogni giorno avvolge i campi agricoli europei. Proprio la storia e i dati italiani dovrebbero aiutare a togliere il velo a queste ipocrisie: il glifosato che troviamo nelle nostre acque, anche profonde, come prima molecola di sintesi, evidentemente non viene da scuole e parchi pubblici. Viene dai campi e da lì contamina suoli, aria e prodotti alimentari, in Italia come nel resto del mondo. Un’incomprensibile assoluzione per mancanza di prove, si sarebbe detto in passato in ambito giuridico. Eppure di prove in questi anni ne sono emerse parecchie e sono andate tutte nella stessa direzione di quanto aveva indicato l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms (la Iarc) già nel marzo del 2015, quando definì l’erbicida “probabilmente cancerogeno”.
C’è ancora la salda determinazione dei cittadini europei di non volere alcuna traccia di glifosato né nell’aria che respirano, né nell’acqua che bevono e nei cibi che portano a tavola.